Il blog dell’Associazione A+ è aperto: vuole essere uno strumento di informazione e di confronto fra coloro che producono architettura , nella forma di progetti e di riflessioni operative e per tutti coloro che all’architettura sono interessati, sia per interesse specifico sia, più semplicemente perché la abitano.
Una apertura massima quindi che è anche ampiezza di scala, in quanto deve riguardare l’abitare dalla scala della casa a quella del paesaggio.
Ci si deve chiedere perché e proprio ora sentiamo questa esigenza di confronto, proprio nel momento in cui sono disponibili informazioni in quantità mai precedentemente disponibile.
La prima considerazione riguarda la natura di tale informazione: essa in maggioranza è o informazione istituzionale – che persegue inevitabilmente intenti che non possono essere critici – o è agiografica e/o di affannata auto promozione. Rimane una quota di polemico populismo in cui tutti possono dire tutto nel declino oramai assodato di ogni competenza. Sappiamo che le eccezioni non mancano ma nel campo della riflessione sulle trasformazioni territoriali che a noi stanno a cuore, e anche riguardo la riflessione complessiva del nostro ruolo (sociale, economico, civile!!) questi caratteri sono i prevalenti.
Ciò che – nella comunicazione almeno – sembra emergere è (e per fortuna) una nuova consapevolezza sociale dell’importanza dell’ambiente (climatico- ecologica, prima che come forma fisica della storia). In essa però l’architettura (in quanto pratica intellettuale consapevole) e le pratiche di progetto alla scala ampia, paiono essere travolte dall’affollarsi di spinte e saperi eterogenei, apparsi come funghi in modo direttamente proporzionale alla quantità di denaro che sembra dover essere dedicato all’ambiente.
Le parole sono invece spuntate dal loro abuso.
Noi vorremmo con questo sito di confronto definire un piccolo luogo dove si possa, anche con spirito polemico, cercare di riportare a significati meno ambigui (o truffaldini) il significato di parole “troppo piene” che oggi ci circondano. Ma lungi da noi uno spirito di difesa di una professione che rivendichi primati, storicamente del resto già largamente ridimensionati: quello che pensiamo è che le parole possano prendere un senso solo se descrivono i modi di un progetto, anche se questo si dovesse manifestare nel “non fare” per scelta consapevole.
È indubbiamente anche questa forte ma in definitiva confusa ”necessità del progetto” una delle forme che prende la crisi dell’architettura come linguaggio trasmissibile, come disciplina socialmente utile. Ciò nel momento in cui le richieste e la sua urgenza è prettamente politica, ma dove i luoghi delle decisioni paiono spesso impreparati e fortemente confusi.
Abbiamo bisogno di confronto aperto con altri saperi, se vogliamo rifuggire dai formalismi, ma non abdicare alla forma come fatto sintetico, finale e voluto, di processi e aspirazioni complesse: dobbiamo confrontarci con la polis se vogliamo evitare la velleità, la chiacchera.